
Potessi chiamarti oggi, per dirti buon compleanno. Non ti lascerei solo un messaggio nei tanti luoghi che abbiamo per lasciarci parole mute, senza tono. Ti chiamerei e ti direi: auguri bellezza, ci vediamo stasera allora? Stasera? Mi diresti. Sì, stasera. Torno a casa un paio di giorni, e guarda un po’, torno oggi che è il tuo compleanno. Quanto tempo che non passiamo un tuo compleanno insieme, eppure sei stata subito così cara da quella sera in cui ci siamo conosciute in piscina, quando ancora gli anni non avevano il venti davanti e la più grande paura era il compito in classe, o l’interrogazione. E mi dispiace che poi ci siamo un po’ perse, è stata più colpa mia che tua, lo ammetto; non si dovrebbe mai delegare a un altro tutta la propria libertà, non si dovrebbe mai mettere l’amicizia in secondo piano per un po’ di baci, per l’illusione di una sicurezza sentimentale. A quell’età, poi. Non si è sicuri mai, figurati sul ciglio dei venti. Ma il passato non si cambia, aggiungeresti tu, mettendo sull’a di quell’ultima parola il tuo bel sorriso e sollevando le spalle. No, non si cambia, aggiungerei io, e la lezione l’ho imparata, però almeno ci siamo ritrovate, sì, anche se di anni ne sono dovuti passare quanti? Dieci? Ma eccoci di nuovo qui, a parlare come se niente fosse, a uscire di nuovo insieme da quella bella estate del 2009 quando per puro caso abbiamo cominciato a riscriverci, a vederci, a ordinare insieme una chiara grande. Avevi promesso di venire a Parigi, ricordi? Mi avevi raccomandato di trovare una stanza grande, e mi avresti raggiunta, e io la trovai, alla fine, proprio a Montmartre, dopo tanto peregrinare, in una via vicina a quella di ciottoli dove tu ti eri scattata quella foto, ricordi? Nei tuoi primi anni di lavoro. Che bella foto. Non ne abbiamo quasi nessuna insieme, forse nessuna, chi girava con la macchina fotografica quando ci siamo conosciute? Chi pensava a farsi foto in continuazione? Gli appuntamenti li prendevamo ancora sul telefono fisso, o al citofono. E quindi avremmo potuto farcene una proprio lì, di foto, lì e in tante altre parti. Ci sarebbero bastate poche ore per cancellare l’assenza stupida di quei dieci anni passati solo a pensarsi, da lontano.
Le ore non sono bastate, te ne sei andata prima, senza volerlo, pochi mesi dopo, in un giorno di aprile. E da nove anni i miei auguri si perdono nell’aria, tra le nuvole, sulle strade che non percorreremo mai insieme, sui tavolini intorno ai quali non ci sederemo più per una chiacchiera, mia bella Rosalba. Eppure io te li faccio lo stesso, amica.