Le notti di San Lorenzo

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Non era una notte sola, ma tre o quattro, tutte accalcate intorno a quella del dieci dove le aspettative di vedere il cielo pennellato di luci erano comunque sempre le più alte, le più forti. Le notti di agosto più interessanti, quelle di cui ho più nostalgia, le ho trascorse su una spessa balaustra di pietra con sotto quasi 100 metri di vuoto e un paesaggio incredibile, a fissare il cielo, per ore.

San Lorenzo era un giorno e un luogo. San Lorenzo era il dieci agosto, ma anche il quartiere romano dove mio padre era cresciuto, dove viveva nonna fino alla metà degli anni novanta, in un bell’appartamento da dove si vedevano senza intralci le mura aureliane e sopra quelle l’intreccio di binari che portavano via da Roma e a Roma ti riportavano.

San Lorenzo è stata quella notte di più di venti anni fa, dove con gli amici ci si era lasciati dietro il bar, la piazza, le panchine e le vie arancioni per inerpicarci, ben forniti di plaid, su per una strada non asfaltata, ripidissima, e cercare poi a tentoni un luogo per sdraiarsi, uno spiazzo, un prato, delle rocce piatte, avamposti di salite ben più faticose per i Monti Lepini. Una concorrenza di sguardi agguerrita, chi vede la stella cadere per primo, il desiderio è il suo, qualche battuta, tanto silenzio, un ragazzo che mi stava assai simpatico che mi strinse la mano, là al buio, sotto la coperta. E basta, fu tutto lì, per tutta l’estate.

Le stelle sono molto attente. E vogliono desideri ben precisi. Non si può essere vaghi e sciatti con le parole, quando ci si rivolge alle stelle. Lo scoprii nel 1996, l’anno successivo. Ero sul terrazzo degli altri nonni, un terrazzo che correva tutto intorno all’appartamento, dove amavo isolarmi fin da bambina, per giocare, per immaginare chissà che storie. Storie sempre più diverse, man mano che crescevo. A maggior ragione me ne stetti là la notte di San Lorenzo in attesa, stavolta da sola. Cadde una stella e con quella venne giù anche il solito tuffo al cuore: a una stella che si brucia cadendo non ci si abitua mai. Espressi un desiderio, dettagliatissimo. Si avverò, senza la minima sbavatura, neanche due settimane dopo. Ancora sorrido, quando ci penso, quando penso all’impeccabilità di quella stella.

Su quest’isola c’è troppa luce, troppo rumore, c’è troppo di tutto. Non c’è la pazienza dei luoghi bui, del silenzio, di ore passate a non fare nulla se non a guardare il cielo, in silenzio, per ore, in attesa di qualcosa che può anche non accadere. E probabilmente anche le stelle si devono essere stancate di ascoltare i pensieri, parola per parola, di prendere nota, di eseguire un desiderio alla lettera. O forse i pensieri sono ormai troppo impiastricciati, un desiderio litiga con un altro, non si sa a quale dare la precedenza. Oppure si fa fatica a trovarli, i desideri, in quella parte polverosa e caotica dei pensieri, dove tutto è stato ammucchiato senza cura, finito sotto cumuli di preoccupazioni, artifici, sorrisi a forza.

E la ragione di molti sogni si deve essere scolorita, o ha preso muffa. Forse.