
Anni fa, su uno sgabello di legno chiaro che usavo come comò accanto al letto, aveva sostato a lungo un romanzo voluminoso intitolato “The marriage plot”. Lo avevo in versione originale e ci misi un po’ a procedere nella vicenda. Riuscii a finirlo poi solo in traduzione, in italiano.
Mi sono sposata in una lingua non mia, la stessa di quel romanzo, con una cerimonia e una festa su un’isola che, paradossalmente, più passa il tempo e più mi è straniera, lontana. E forse non solo a me.
Io e il ragazzo che non mi abituerò mai a chiamare marito, abbiamo aperto i festeggiamenti tra le pietre gialle di Valletta per poi concluderli su un prato fresco, lungo una siepe che correva da un imponente ulivo fino a un salice, con le luci di Roma e un oraziano monte sullo sfondo. Una vigna dove sento ancora i passi dei miei nonni, vedo le mele cotogne a terra, i filari delle viti, i grappoli appiccicosi percorsi dai ragni, l’avvicinarsi morbido di una bella gatta, la distesa di margherite, l’erba alta quasi quanto lo ero io.

Organizzare un matrimonio in pochi mesi, da aprile in poi, per intenderci, mi ha insegnato molto.
Mi ha insegnato, anche se sarebbe meglio dire confermato, che quello che conta molto per te non conta per altri e quello che tanto sembra contare per altri per te è sì importante, ma non in maniera così assoluta. Almeno non così tanto da ricevere congratulazioni come se avessi fatto il giro del mondo a piedi.
Non parlerò del primo aspetto, che a stare dietro a cose che per me contavano e per altri nulla credo di averci speso anche troppi anni. Del secondo mi limiterò a dire che le congratulazioni le ho sempre viste più appropriate per altro: per la conclusione (e ce ne è stata più di una) di un percorso di studi, per una tesi discussa e difesa per ore in francese, per la pubblicazione di un libro, per le foto (io, che non ho studiato mai fotografia), per la ricostruzione di una vita dalle macerie di un’altra (anche qua, ce ne sono diverse), per ogni scelta durissima, fatta col cervello e tu cuore sta’ zitto, non fiatare, non dire più una parola.
Sarà perché congratularsi con una donna “solo” perché si sposa (soprattutto verso i quaranta) cela sempre la presenza di un “finalmente”, di una tappa che mancava, di un traguardo che la rende un po’ più normale e la prepara a un’altra ancora più normalizzante tappa femminile. E’, insomma, qualcosa che stona con tutti i miei principi.
Come non lo sono mai con i complimenti (se non da pochissime persone) allo stesso modo, dunque, non sono stata molto a mio agio con le congratulazioni ricevute nelle ultime settimane.
Sinceramente non aspettavo il matrimonio come l’evento della mia vita. Non è stata l’idea di sposarmi che mi ha cambiato ogni cosa, rivoluzionato le giornate, dato fiducia, un ruolo e più tranquillità.
Era perché le giornate erano già cambiate, perché la fiducia e la tranquillità avevano ripreso a popolare la mia testa, perché la mente era libera dall’idea inutile di un ruolo da rivestire che mi sono sposata con la persona che, in maniera continua, bella e paziente, aveva già rivoluzionato tutto da un bel pezzo. E lo aveva fatto talmente con cura che quasi non me ne ero accorta.
Ci voleva dunque un rito, un linguaggio condiviso, una comunicazione pubblica detta e poi, per riflesso, restituita da un gruppo di persone care, carissime, tutte intorno a noi, per rendere ognuno partecipe di questa complessa e profonda rivoluzione, per mettere di fronte agli occhi quello che già conoscevo, per farmelo tenere bene a mente per il futuro.
Per questo mi sono sposata.
p.s. ci sono ovviamente anche tante altre cose che ho appreso e di cui farò tesoro, come per esempio
- che nessun trucco è mai troppo leggero da chiedere o troppo scuro da non poter essere tolto.
- che ai camerieri puoi anche dire e ridire come vuoi che vengano serviti i piatti ma tanto quelli alla fine faranno come pare a loro.
- che agli stessi camerieri puoi ricordare che se il vino finisce ce n’è molto altro ancora da travasare ma, di nuovo, quelli faranno come se non glielo avessi detto.
- che prendere più torte di quelle che occorrerebbero si rivela sempre una scelta assai saggia.
- che gli autobus da e per la stazione sono più che affidabili.
- che il cibo andrebbe ordinato da chi fa anche un servizio di consegna.
- che si può aggiornare il menù 24 ore prima senza impazzire.
- che le fragole nella torta non saranno mai abbastanza.
- che una festa è resa magnifica dalle persone che ci partecipano, non da una perfetta organizzazione. Ma questo lo sapevo già dal lontano ’87.