Un sogno fatto in Sicilia

Sai cos’è la nostra vita? La tua e la mia? Un sogno fatto in Sicilia. Forse stiamo ancora lì e stiamo sognando. (Leonardo Sciascia)

La dimensione del sogno raccoglie allo stesso tempo tutto il possibile e tutto l’impossibile. Il sogno è un luogo fluido, dove troviamo barriere che nella vita desta supereremmo senza difficoltà (nel sogno, e sempre più nei sogni da adulti, non si riesce spesso a correre, a vedere, a parlare) o, viceversa, dove senza fatica riusciamo a proiettarci in gesti assoluti.

Tutto del sogno si consuma e dissolve quando apriamo gli occhi, tutto resta e continua a rimbombare nella testa e nel petto per ore, anche dopo alzati. Dimensione paradossale, indispensabile come aria.

Al di là della bruciante bellezza con cui una storia terribile e vera è stata narrata, al di là dei simboli scelti, del bosco che si stringe e si dilata, si illumina e si rabbuia intorno ai protagonisti, della voce dell’acqua, dell’acqua come soglia, dei suoni e dei paesaggi usati come incantesimi, al di là di tutte le corde toccate, il film “Sicilian Ghost Story” ci resta dentro come un sogno su cui si sono appena dischiuse le palpebre umidissime, e da cui il giorno vorrebbe allontanarci. Ma il cuore, morso, commosso, sconvolto, continua con fragore e forza a riprenderci e a ricondurci, anche molte ore dopo, per quei liquidi sentieri, ci scaglia sul bagnasciuga con tutta la schiuma salata delle onde, ci ricorda come è che si vive: amando, lottando, gridando.