Hic sunt leones

Cartografie romane. Lo Gnam, il Giappone, il fumetto.

Ultimamente Roma per godersela bisogna prenderla alla lontana, navigando al largo, cercando di non finire nel vortice di folle, motori e vetrine del centro; a meno che al centro non si conoscano già una buona gelateria dove rifocillarsi e poi un porto sicuro dove approdare e dove faranno rotta anche le amiche più care, come è stato, e come accade spesso, alla libreria Griot, una domenica pomeriggio.

Fiera di Roma

La mattina di quella domenica giungevo tuttavia dall’immersione in altre folle, quelle variopinte del Romics, con mia sorella che di queste cose ne sa più di me e che disegna in modo incredibile, perdendoci e ripescandoci regolarmente tra nugoli di ragazzini, supereroi, disegni, schizzi e patatine fritte, dove un po’ mi ritrovavo e molto mi sentivo controvento. Eppure a me i fumetti piacciono assai, mi sono sempre piaciuti, li ho divorati, collezionati, disegnati anche, per divertimento. Regalatemi una graphic novel ben fatta e mi vedrete felice.

Sempre procedendo ai margini del centro, due giorni dopo ho dedicato qualche ora (per la quarta volta) a uno dei luoghi più belli e rasserenanti in cui mi sia mai capitato di mettere piede: lo Gnam.

La Galleria Nazionale di Arte Moderna e Contemporanea è uno di quei posti che vizia lo sguardo e l’animo e mette completamente a proprio agio, tra tanto ben di dio. La prima volta c’ero stata con Chiara (l’unica volta che avevo potuto ammirare il bacio di Klimt, tutte le altre volte sempre in viaggio), quando non era ancora stata ristrutturata; da quel che ricordo, era un bel museo come ce ne sono tanti grazie alla sua collezione, ma pesante, buio, polveroso. Da pochi anni è tutta un’altra storia. Gli spazi e il nuovo allestimento non cronologico sono belli quasi quanto le opere che ospitano. Le descrizioni non disturbano e quasi si confondono con il bianco delle mura. Tutto è arte, perché si è oltre qualsiasi categoria: l’etnico e il periodo storico sono stati messi al bando. Il moderno, il contemporaneo, l’occidentale e il non occidentale si mescolano, si accompagnano, si danno man forte e sembra si facciano i complimenti a vicenda. A volte si ha anche l’impressione che non abbiano più neanche bisogno dello sguardo del visitatore, della sua logica ordinatrice. Altre invece che lo invitino a unirsi, come una nuova opera mobile e sempre variante, alla festa perpetua che hanno messo in atto.

Perché, come già detto, è questo il punto. La visita allo Gnam è come una colazione sull’erba, una festa tra amici cari, una passeggiata sul prato a piedi scalzi, dove si può tranquillamente scegliere di non vedere tutto pedissequamente e sentirsi comunque a posto con la coscienza – la bellezza che ci circonda ci ha già raggiunto tutta, quasi per osmosi. Abolita la dittatura delle didascalie e dei periodi, si vaga, si vaga e basta alla ricerca della cosa più leggiadra o spiazzante; ci si inventa il proprio percorso, si torna indietro, ci si sdraia su divani che sembrano istallazioni, ci si muove in balia di onde leggere, trascinati verso sale che galleggiano nella luce come isole bianche piene di tesori. Se è tanto che non vedete un amico, se volete un bel posto dove passeggiare e ogni tanto fermarvi di fronte alle tele di Fontana, a una statua di Canova, a un quadro di Fattori, solo per citarne qualcuno, lo Gnam è il posto ideale. Altro che le vie di Trastevere.

Poco distante dalla galleria (nel bar servono anche ottime pizze bianche ripiene, così, tanto per dire), c’è l’Istituto Giapponese di Cultura, dove avevamo prenotato una fugace visita (è proprio il caso di dirlo), al giardino, per la fioritura dei ciliegi. La visita va prenotata il martedì e il giovedì ed è assai breve, non ci si può stare per più di mezz’ora, buona parte della quale si è accompagnati da due guide che raccontano la storia del giardino, si sforzano di farci immaginare che quello che abbiano davanti non è uno stagno ma il mare e ci tengono a specificare che il giardino in cui ci troviamo non sia zen. Zen o non zen il profumo del glicine e del ciliegio ci ha già stordito appena varcata la soglia, quei trenta minuti passano come se fossero solo cinque, la preoccupazione maggiore è quella di non finire a far compagnia alle carpe, e quando usciamo abbiamo la certezza che se la primavera tarda un po’ ad arrivare del tutto (venti freddi e piogge turbavano ancora la navigazione romana, per non parlare dell’atterraggio a Fiumicino) è forse perché si sta ancora stiracchiando le gambe sul prato di quell’incantevole giardino.