Settembre, ad agosto.

La fine di agosto non è mai appartenuta al suo mese. La fine di agosto è settembre, un mescolìo di fine e inizio, di umidità sospesa e vento che in un attimo la spazza via.

Eppure non c’è più la corsa dei giorni verso il primo giorno di scuola, non c’è più lo svegliarsi di soprassalto tra le mura male imbiancate di una classe dopo mesi di precipizio tra mare e colline, tra stelle, vento in motorino, capelli tagliati.

Anche se a me quelle mure male imbiancate, almeno il primo giorno di scuola, piacevano molto. Perché era un inizio e gli inizi friccicano di energia e salute. Di odore di libri appena tolti dalla plastica, di un diario scelto con cura e quaderni a righe e a quadretti, di album Fabriano, carta liscia e carta ruvida. Di scarpe nuove, e abiti stirati.

Quest’estate è come se non fosse stata. Come altre, prima. Nessuno stacco tra prima e poi. Un giorno di lavoro, un giorno pigro. E di nuovo, un giorno o due di lavoro, mezza giornata pigra, pochissimo mare.

E devo, devo assolutamente trovarmi un inizio, degli inizi che mi scuotano il cervello e le braccia, che mi facciano muovere le gambe e spalanchino gli occhi.

E degli inizi ci sono.

Ci sono due traduzioni a cui pensare e le loro pubblicazioni in un prossimo futuro: “Stanza Azzurra. Inventario” di Leanne Ellul. E “Rosmarino e capricci vari”. O “Rosmarino e altri capricci”, di Adrian Grima. Felice che le loro candidature con il Book Fund siano andate a buon fine.

C’è una residenza letteraria vinta come partecipante maltese, del progetto europeo Ulysses Shelter, la prossima primavera, in Galles. E penso già a cosa mettere in valigia. Che è una cosa che mi ha sempre fatto stare bene, immaginarmi la valigia per un posto in cui non sono mai stata. E l’idea di un posto nuovo, di nuovi odori e colori mi ha messo già in testa l’idea per un nuovo romanzo. Che sarebbe il terzo, dopo due ancora non pubblicati.

E c’è un bel progetto di cui presto parlerò di più, Memorive, un progetto di ricerca, laboratori, teatro e scoperta di spazi espositivi alternativi e pubblici, che risveglierà Rima, e che mi riporterà, assieme alle mie nuove colleghe e amiche, in quella parte di Italia, per cui, come dice Marta, vale sempre la pena. Il sud.

E forse anche per quest’isola che mi ha sempre dato tanto, ma che si è presa anche parecchio, vale ancora la pena.

Se riuscissi solo a scrollarmi di mente l’idea che senza un lavoro salariato a tempo pieno non valgo nulla. Se.

Se riuscissi a capire che a settembre non comincerà più un anno scolastico dove sto (relativamente) a mio agio perché qualcuno mi dice cosa fare, e io lo faccio senza dire nulla, e prendo ottimi voti in quasi tutte le materie. E sono soddisfatta così, almeno in superficie.

Se riuscissi infine a ricordarmi, invece, di tutto il tempo che, sempre in quelle classi, passavo a guardare fuori dalla finestra, io che mi mettevo sempre all’ultimo banco, senza prestare attenzione a quello che dicevano i professori, senza fare altro che guardare fuori, senza altro fine se non quello di guardare fuori.

Senza utilità – come dice una bella canzone. Perché non serve a noi.